Spettacolo

The Conjuring 3: il terzo capitolo è un inciampo noioso

È finalmente in sala il terzo capitolo della serie Conjuring, il fortunato franchise horror creato dalla mente dell’enfant prodige del genere James Wan che ripercorre le “avventure” dei coniugi Warren, i più famosi e discussi demonologi d’America.

La serie, oltre a tre titoli principali, conta numerosi (e altalenanti) spin-off: la trilogia sulla bambola Annabelle, The Nun e La Llorona – Le Lacrime del Male (The Curse of La Llorona). Il regista di quest’ultimo film, Michael Chaves, sostituisce Wan alla regia di questo terzo capitolo della serie principale. Una scelta discutibile che Wan giustifica così: «Avevo lavorato con Michael Chaves e ne ero rimasto molto soddisfatto. L’ho visto crescere come regista nel corso del suo primo film, e ho sentito che la sua creatività, l’energia e la sua mentalità era esattamente ciò che serviva per ‘The Conjuring: Per Ordine Del Diavolo’».

Nel film, dopo il Rhode Island negli anni ‘60 (The Conjuring) e l’Inghilterra punk degli anni ‘70 (The Conjuring 2), siamo negli anni’ 80 in una cittadina del Connecticut dove i Warren (interpretati ancora una volta da Patrick Wilson e Vera Farmiga) vengono chiamati per salvare un bambino di otto anni da una possessione demoniaca. L’esorcismo però non va a buon fine e il demone trova rifugio nel corpo di Arnie, il fidanzato della sorella del bambino.

Dietro influenza del demone, Arnie uccide con ventidue coltellate il proprio padrone di casa davanti alla fidanzata. I Warren intervengono immediatamente e chiedono che il ragazzo sotto processo venga assolto dalla corte per causa di possessione demoniaca. Sarà un caso storico che metterà la coppia sotto i riflettori e creerà un incredibile precedente nella storia giudiziaria americana. Un caso che dà il sottotitolo al film: “The Devil Made Me Do it”.

Per ottenere l’assoluzione e salvare Arnie dalla pena capitale gli Warren corrono contro il tempo per cercare di scoprire chi è l’artefice della maledizione. Perché non ci sono solo spettri e demoni da temere a questo mondo…

The Conjuring – Per ordine del diavolo (The Conjuring: The Devil Made Me Do It) era uno degli horror più attesi della stagione grazie ai suoi illustri prequel. Che però erano firmati da James Wan, qui limitato al ruolo di produttore e autore della storia (come negli spin-off). Sull’abbandono della regia del terzo capitolo ha ammesso Wan: «Per me è stato duro abbandonare i compiti di regia. Ho guidato questo gregge sin dal primo momento».

Ma  essendo l’horror il genere che forse ha più bisogno della guida di un artista di capacità e di visione, l’assenza di Wan era un handicap. Michael Chaves, come si era visto già in La Llorona, è un regista che ha sicuramente fatto i compiti, che conosce i linguaggi dell’horror e della narrazione di paura. Ma non dispone di tanto altro.

The Conjuring 3 prometteva di essere il caso più inquietante della carriera degli Warren ma il risultato finale è invece di gran lunga il più debole dei tre film della serie: un eccessivo affidamento a jump scares, un citazionismo fine a se stesso dei grandi titoli del cinema dell’orrore non bastano per raggiungere il livello di qualità dei primi due titoli.

Nei migliori momenti il film è banale e nei peggiori è talmente scontato da non richiedere tutta la “tensione” costruita nelle scene. Certo, l’atmosfera è piacevole e la presenza di un fattore umano (la malattia al cuore di Ed) donano un certo realismo alla storia, così come la minaccia di un nemico in carne e ossa (una perfida satanista) evita che venga ripetuta la formula dei primi due film. Gli elementi da detective story funzionano pure bene, ma quello che richiedeva il terzo The Conjuring era un certo coraggio, la capacità di evolversi al di là dei luoghi comuni e degli archetipi del genere.

Questo invece Wan lo aveva capito, e non solo in The Conjuring: non va dimenticato che il franchise di Saw era nato con lui, lui che alla regia del primo capitolo aveva donato una certa intelligenza e sottile eleganza al gore; poi, con Insidious il regista aveva esplorato gli spazi aperti da L’Esorcista (The Exorcist) di William Friedkin e ne aveva creato qualcosa di nuovo. The Conjuring 1 e 2, i suoi più grandi successi di pubblico e critica, avevano rielaborato i grandi horror degli anni 60 e 70 (come Poltergeist e The Entity con Barbara Hershey) e li avevano elevati a una serie dal sapore antico che però tendeva verso il futuro.

Ed è questo dialogo con l’avanguardia che manca nella regia di Chaves: in un panorama che ci ha donato registi come Ari Aster (Midsommar, Hereditary – Le Radici del Male), Robert Eggers (The Lighthouse, The VVitch) e Jordan Peele (Noi, Get out – Scappa), Wan riusciva a mantenere quel dialogo che aveva contribuito ad aprire. Chaves no.

[rwp-review id=”0″]

Pierfranco Allegri
Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it

    Potrebbe interessarti anche

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Altro in:Spettacolo